SOCIAL
E-MAIL

instagram

schermimagazine@libero.it

SCHERMI MAGAZINE

© Schermi Magazine

Estate 1993, le metamorfosi del dolore

2025-09-26 12:33

Giulia Losciale

Recensioni,

Estate 1993, le metamorfosi del dolore

Estate 1993 (2017) è un’opera di Carla Simón che con estrema delicatezza decide diraccontare al pubblico la sua storia attraverso lo sguardo della sua

Estate 1993 (2017) è un’opera di Carla Simón che con estrema delicatezza decide di
raccontare al pubblico la sua storia attraverso lo sguardo della sua protagonista. Nell’estate
del 1993 la regista, che aveva già perso suo padre qualche anno prima, è costretta a confrontarsi anche col lutto di sua madre. Così all’età di sei anni viene affidata a suo zio ed è costretta ad abituarsi a
realtà e a dinamiche familiari completamente nuove.
Un intenso processo di autoanalisi ci racconta di una perturbazione interiore, intima e
dolorosa, quella che la perdita provoca in Frida. Proprio come la regista rimane orfana
improvvisamente e affronta così il passaggio ad una nuova dimensione personale. La sua è
una presenza esuberante che cela dietro il suo gioioso fare infantile una profonda scissione;
la sua purezza e ingenuità sono costantemente velate dall’ombra della sofferenza, da un
senso di perdizione generato dal profondo vuoto che sente dentro di sé.
Ciò che muove ogni suo passo è una ricerca costante di calore umano che è manifesta in
ogni suo gesto, il suo è un bisogno di sentirsi necessaria per l’equilibrio vitale di tutto ciò che
la circonda, mettendo alla prova il suo valore nel mondo, desidera sentirsi degna di quell’amore
puro ed incondizionato che ha paura possa svanire sotto i suoi occhi nuovamente.
Costantemente manifesta atteggiamenti che appaiono sregolati, mossi da un’irrazionalità
incontrollata e dati dalla sua necessità di sapere quanto di lei chi la circonda sia disposto ad
accogliere, se c’è davvero posto per la sua complessità nelle loro vite, se possa affidare loro
le sue debolezze perché se ne prendano cura e perché la aiutino a renderle meno pesanti
nel suo cuore.
La sua è una famiglia che vive silenziosamente in attesa, in attesa che quel dolore
incontenibile esploda in tutta la sua potenza, manifestano una quiete che è solamente
apparente e che sembra voler lenire il dolore di Frida, ma non fa altro che amplificare il suo
turbamento e farla sentire sola in quel suo senso di perdizione.
Frida viene travolta dalla scoperta della morte e improvvisamente tutto appare cristallizzato
in essa, non trova il senso della sua esistenza, della forza con cui stravolge ogni cosa
devastandola, si sente soffocare, cadere nel vuoto.
Da quel momento vive come se tutto da un momento all’altro tutto possa cessare di esistere
improvvisamente, come se ogni cosa possa dissolversi, e sembra avere bisogno in ogni
momento di avere prova che ciò che vive sia reale, consistente, materiale. Il suo dolore è un
dolore puro, inesplorato, tanto che sembra esserle lieve, eppure è imponente dentro di lei
che tenta di dare un nome a quel profondo malessere dovuto alla scoperta della della labilità
dell’esistenza. Prova a combattere il vuoto che sente tentando di tenere in vita sua madre,
tutti i suoi sforzi sono tesi a rendersi suo degno prolungamento sulla terra, la rende presente
e viva in ogni momento attraverso una costante trama fatta di gesti e rituali.
Poi comprende la mutevolezza dell’amore, ne concepisce le tante forme, le sue
metamorfosi, si rende conto che è lì con lei, che l'ha protetta e guidata fino a quel momento
e che non l’ha mai lasciata ma ha solamente cambiato forma. Realizza che quel senso di
perdizione è condiviso e presente anche nel cuore di chi la circonda. Allora lo libera, lascia
che riempia l’aria, che sia conoscibile, e si lascia andare annullandosi tra le braccia di chi la
ama così che forse ora il suo dolore possa essere almeno abitabile.

CONTATTACI
SOCIAL
E-MAIL

Italia


instagram

schermimagazine@libero.it

© Schermi Magazine