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The Studio: Seth Rogen e l'arte di far ridere proteggendo il cinema

2025-07-02 14:37

Nicola Bartucca

Recensioni,

The Studio: Seth Rogen e l'arte di far ridere proteggendo il cinema

di Nicola Bartucca Con The Studio, Seth Rogen conferma di essere uno dei più raffinati artigiani della commedia contemporanea, forte di una maturità r

di Nicola Bartucca

 

Con The Studio, Seth Rogen conferma di essere uno dei più raffinati artigiani della commedia contemporanea, forte di una maturità registica – condivisa con il fidato Evan Goldberg – che supera di gran lunga i lavori realizzati nel decennio scorso con l’amico di sempre, James Franco. Lontano dall’irruenza e dalla sfrontatezza di This Is the End o The Interview (ma pur sempre irresistibili), qui Rogen adotta una mano più delicata, armonizzando gag calibrate e meccanismi comici ben oliati con una regia sorprendentemente dinamica, dove ritmo e respiro narrativo trovano un’eleganza inattesa.

La serie si inserisce con naturalezza in quella linea editoriale che rende Apple TV+ una delle piattaforme più coese e riconoscibili del panorama streaming. Non tanto per quantità, quanto per visione d’insieme. Serie come Ted Lasso e Shrinking, nate dalla stessa penna brillante di Bill Lawrence (Scrubs) e Brett Goldstein, condividono con The Studio un’idea di comicità umana, costruita su dinamiche affettive, fallimenti quotidiani e possibilità di rinascita. Rogen aveva già brillato nel catalogo Apple in Platonic, dove esplorava con Rose Byrne i limiti e le sfumature dell’amicizia adulta con intelligenza e naturalezza. Il filo comune è una leggerezza pensata, mai superficiale, che intreccia il riso al disincanto e l’intrattenimento a un pensiero più profondo sul nostro tempo.

In The Studio, il cuore pulsante è il cinema stesso: la sua creazione, la sua tutela, il sistema produttivo che lo alimenta e, spesso, lo soffoca. Rogen – nei panni del produttore fittizio dei “Continental Studios” – tratteggia un mondo sospeso tra reboot, remake e timidi slanci di innovazione, in cui la componente artistica non scompare mai, ma scorre sotto la superficie come un filo nascosto, invisibile e persistente. Quasi come se ogni episodio fosse una dichiarazione d’intenti sulla necessità di difendere l’autorialità in un contesto sempre più dominato dal profitto e dai trend.

 

Oggi il cinema non è più un rito collettivo, un’esperienza condivisa intorno a uno schermo. E questa perdita, nelle dieci puntate da circa mezz’ora ciascuna, è palpabile, filtrata con malinconia da ogni personaggio, da ogni battuta. Il messaggio è limpido: nell’epoca dello streaming onnipresente, resta in noi il desiderio di spegnere la TV, uscire, e tornare in sala. Non solo per guardare un film, ma per riscoprire quella liturgia comunitaria che rende il cinema un’arte viva, irripetibile.

A impreziosire la serie, una galleria di cammei d’eccezione – Martin Scorsese, Zoë Kravitz, Dave Franco, Adam Scott, Ice Cube e molti altri – che entrano ed escono dalla narrazione con ironia e misura, senza mai rubare la scena, ma fondendosi con naturalezza nel tono della serie. Nessun effetto speciale da star system: solo presenze calibrate, perfettamente integrate nel gioco comico e narrativo. Il tutto è incorniciato da una componente visiva curatissima: la grafica d’apertura in stile Technicolor anni ’50/’60 omaggia l’età d’oro degli studios, evocando un mondo forse perduto, ma ancora capace di farci sognare.

Dal punto di vista produttivo, The Studio abbraccia con intelligenza la forma del mockumentary: la messa in scena replica il tono e lo stile di un finto documentario dietro le quinte, fondendo realtà e finzione con una fluidità che moltiplica i livelli di lettura. La comicità nasce spesso proprio da questo cortocircuito: attori, sceneggiatori e registi che interpretano versioni distorte di sé stessi, dialoghi scritti per sembrare improvvisati, confessionali e dinamiche da ufficio che richiamano le sit-com anni ’90 e 2000 – su tutte The Office – ma aggiornate con precisione chirurgica al contesto hollywoodiano contemporaneo. Il risultato è una narrazione meta-cinematografica che diverte, ma allo stesso tempo interroga lo spettatore sullo stato dell’industria e sul nostro modo di consumare le storie.

The Studio è, in questo senso, un elogio appassionato alla settima arte, e Seth Rogen ne è il custode sorridente, nostalgico e sorprendentemente lucido. In un mondo saturo di contenuti, il suo è un richiamo gentile ma potente al valore originario del racconto cinematografico – e ai luoghi che continuano a renderlo possibile.

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