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LA VALLE DEI SORRISI: UN RITORNO DEL CINEMA DI GENERE IN ITALIA O UN EPISODIO ISOLATO?

2025-10-07 23:37

Emma Avellino

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LA VALLE DEI SORRISI: UN RITORNO DEL CINEMA DI GENERE IN ITALIA O UN EPISODIO ISOLATO?

La valle dei sorrisi, seconda opera in solitaria di Paolo Strippoli, restituisce al cinema italiano unadimensione che da tempo sembra essere stata dimenticata:

La valle dei sorrisi, seconda opera in solitaria di Paolo Strippoli, restituisce al cinema italiano una
dimensione che da tempo sembra essere stata dimenticata: quella del cinema di genere. Questo
cinema, parliamo di horror nel caso specifico, è stata una parentesi importante nella nostra storia
cinematografica, ma ad oggi ogni sua traccia sembra ormai dimenticata. Negli ultimi anni si è
notata una tendenza crescente, in modo particolare tra i registi che tentano di raggiungere un respiro
internazionale, a volersi inserire necessariamente nella categoria del “cinema d'autore”, non
volendosi “sporcare le mani” con il genere. Pensiamo a Paolo Sorrentino, il regista attualmente al
vertice “ideale” della cinematografia italiana, che disdegna cinematograficamente incursioni fuori
dal respiro “autoriale”. Anche registi che hanno provato ad avvicinarsi al thriller, come i Fratelli
D’Innocenzo in America Latina e ancor di più in Dostoievskij, si sono affacciati timidamente al
genere, senza entrarvi veramente e senza rivendicarselo esplicitamente esplicitando sempre di
utilizzarlo come mezzo per il raggiungimento di domini altri ed elevati. Si citano i due giovani
registi perché propongono un elemento che caratterizza anche l’ultimo film di Strippoli: la messa in
scena delle storie in contesti assolutamente italiani, periferici e in qualche modo subalterni rispetto
alle grandi città italiane che invece sono il teatro privilegiato della gran parte delle pellicole italiane.
In questo senso La valle dei sorrisi è un film assolutamente italiano, anzitutto per il luogo in cui è
ambientato: il film si svolge in un piccolo paese tra le alpi del Friuli Venezia Giulia, in un contesto
tutto italiano rurale e folclorico. È in questa cornice che il dolore, la crisi che esso genera e la sua
risoluzione diventano rito collettivo, al fine di mantenere un equilibrio sociale nella cittadina, grazie
alla riproduzione della rimozione collettiva di un trauma che ha segnato l’intera popolazione di
Remis. Come in Piove, il suo primo film, Strippoli tenta di calare un horror con stile internazionale
in un contesto per noi italiani assolutamente familiare e immediato.
Strippoli con La valle dei sorrisi si riallaccia alla tradizione italiana del cinema di genere. Sebbene
non si possa parlare esattamente di “horror all'italiana”, in quanto non ne richiama i motivi: né
quelli estetici, questo film risulta poco barocco, vi è una rappresentazione realistica, non
estetizzante, della morte, e si allontana dal rosso irreale del sangue dei film di Dario Argento e
Mario Bava; né ne richiama le trame: questo è caratterizzato da una logica lineare, molto distante
dalle trame contorte e poco chiare dei film dei grandi maestri italiani. Sebbene in più interviste
l’autore abbia negato una filiazione diretta, è possibile accostare la sua opera al nuovo movimento
statunitense dell’elevated horror. Il legame però con una tradizione italiana molto più legata alla
materialità e solo lateralmente al concetto speculativo rende Strippoli immune ai manierismi che
stanno depotenziando il movimento americano.
L'Italia oggi però non sembra essere pronta ad accogliere questo film, forse perché ancora troppo
legata ad un forte pregiudizio sul cinema di genere. Lo si evince ad esempio dal fatto che il film è
stato presentato fuori dal concorso ufficiale della 82 Mostra del cinema di Venezia, e dal fatto che
due dei suoi protagonisti, Michele Riondino e Romana Maggiora Vergano, per promuovere il film e
motivare la loro presenza in esso continuano a presentare La valle dei sorrisi come un film di ampio
respiro che va oltre l’horror. La difficoltà nella recezione di questo film è testimoniata anche da un
incasso estremamente basso per un film che rappresenta uno dei tentativi più interessanti nel
panorama del cinema italiano. Per una possibile rinascita di questa tradizione non ci si può
appoggiare a questo caso, il volume di cinema dell’orrore, poliziottesco o di giallo all’italiana
prodotto dagli anni ’60 in poi non è replicabile affidandosi unicamente ad autori isolati, una vera
trasformazione deve passare per forza da una rivoluzione produttiva. Non può essere un cinema

esclusivamente autoriale a riportare in auge la tradizione dell’orrore italiana ma una massiccia
produzione di titoli che abituino nuovamente lo spettatore a credere nelle produzioni italiane. Il
paradosso per cui l’Italia si dimostra uno dei mercati più ricettivi verso opere di genere provenienti
dal mercato statunitense, anche di dubbia qualità quale il capitolo finale della saga di The
Conjuring, e poi diserti sistematicamente le pellicole italiane impone una riflessione ampia che non
riguarda unicamente la materia artistica in sé ma tutto il complesso produttivo della Penisola.

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