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L'ufficiale e la spia

2025-05-06 19:34

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L'ufficiale e la spia

LA PROSA DI POLANSKIdi Luca CannuciOgni volta che si guarda un film di Roman Polanski non si può far altro che rimanere estasiati dalla sua capacità d

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LA PROSA DI POLANSKI

di Luca Cannuci

Ogni volta che si guarda un film di Roman Polanski non si può far altro che rimanere estasiati dalla sua capacità di rendere ciò che apparentemente risulta complesso, un qualcosa di semplice, squisito e profondamente comunicativo.

Parliamo infatti del “L’ufficiale e la spia” o “J’accuse”, film del 2019 tratto dall’omonimo romanzo del 2013 scritto da Robert Harris (anche cosceneggiatore della pellicola assieme al regista stesso).

La storia è semplice: nel 1894 il capitano dell’esercito francese Alfred Dreyfus (Louis Garrel), viene dichiarato colpevole di alto tradimento per aver fatto trapelare segreti militari al nemico Impero Tedesco. Il capitano viene quindi degradato ed esiliato sull’Isola del Diavolo (piccola isola colonizzata vicina alle coste del Nord Africa). Il processo o “affare Dreyfus” diventa presto oggetto di pubblico scandalo, soprattutto a livello mediatico, dal momento che emerge il fatto che l’accusato è ebreo.

Noi però seguiamo le indagini dell’ufficiale ed ex professore alla Scuola militare del capitano Dreyfus: Georges Piquart (Jean Dujardin), nominato dall’esercito “capo della sezione di statistica dei servizi segreti francesi”, per sostituire un vecchio ufficiale ormai prossimo alla morte per sifilide. Il comandante Piquart è un uomo di assoluta integrità, forgiato nei ranghi militari per quasi tutta la sua vita. Un uomo giusto, leale e pragmatico, anch’egli assoggettato al suo periodo storico (in riferimento al suo antisemitismo comune in quell’epoca come fatto sociologico e antropologico) ma capace di perseguire la retta via nonostante i suoi pregiudizi.

Piquart scopre col tempo la presenza di numerose discrepanze nelle prove emerse per accusare Dreyfus di alto tradimento, molte cose non tornano e altre prove vengono a galla durante tutta la sua indagine. Questo bene o male è l’incipit della storia ma la pellicola è così stratificata e complessa da meritare molte più parole. Possiamo suddividere l’opera in tre livelli differenti: un livello storico-sociale, uno pedagogico e uno estetico-narrativo.

Partiamo dal livello storico-sociale, con particolare riferimento al periodo che viene raccontato e a quale contesto ci si riferisce. La fine del 1800 è un periodo storico di grande sviluppo economico e culturale, gli stati europei finivano la loro corsa nell’epoca moderna per riuscire ad arrivare più preparati alle future esigenze sociali e militari che si intravedevano nel nuovo secolo. La Belle époque era chiamata così per uno straordinario senso del nuovo e del progresso in vari ambiti del sapere e dello stile di vita. In quel contesto la Francia era in contrasto con la vicina Germania a causa del precedente conflitto franco-prussiano del 1870, che vide la Francia sconfitta cedere due territori al nemico, la caduta dell’Impero di Napoleone III e la nascita della Terza Repubblica Francese governata dal presidente Tiers. Il contesto a cui facciamo riferimento è proprio questo; un’epoca di cambiamenti e transizioni di proporzioni gigantesche. La neonata Repubblica deve fare i conti col suo passato e col sostrato reazionario che marca profondamente gli usi e costumi dei cittadini, sia che essi appartengano alla popolazione sia invece che facciano parte del corpo militare e dell’apparato politico-amministrativo.

Il nostro protagonista si scontra proprio con questa realtà, da una parte il “popolo”, la gente comune mascherata e simbolicamente rappresentata da un eco mediatico celato alla vista dello spettatore. I cittadini comuni non riusciremo mai a vederli se non all’inizio del film e in qualche scena durante i processi nella seconda parte del film. La scelta del regista di celare e ridurre a eco il popolo è volta a catturare l’attenzione di chi guarda sulle vicende personali e legali del protagonista, ma anche per mostrare l’impianto strutturale di quel tipo di società, formalmente repubblicana ma ancora profondamente monarchica e reazionaria. Vedremo poi come questa eco riuscirà a determinarsi e imporsi con l’avanzare della narrazione, fino a raggiungere l’importanza che il regista le ha inizialmente tolto per poi consegnargliela nuovamente verso la sezione finale della pellicola. L’apparato militare, elitario e dominante con cui ci confrontiamo, appare vecchio, burocratico, ancora fermo al passato e miope nei confronti del futuro. Non parliamo solo degli apparati militari e politici, bensì anche di quello giuridico, il quale, incapace di attuare un giudizio equo, bilanciato e sprovvisto di preconcetti, si affida a quell’opinione pubblica corrotta dall’ignoranza e da una cultura profondamente non in linea coi tempi, nel celare il vero per non perdere la faccia, per non inimicarsi le sfere del potere superiore, non dare pubblico scandalo e perciò riprodurre una cultura di tipo omertoso volta al mantenimento del proprio potere. Ogni personaggio con cui Piquart si relaziona, appartiene a questo sistema e non vuole per nulla al mondo sottrarsi ad esso, facendo di tutto per legittimare la propria posizione. Ci ritroviamo ad accompagnare il protagonista in un labirinto di fatti, prove, inseguimenti, e intrighi di carattere politico militare e amoroso da cui è difficile sottrarsi e non venire catturati.

Per quanto riguarda il secondo livello, quello pedagogico, ci concentriamo maggiormente sulla figura del protagonista, quella del comandante Piquart. Un umo giusto, pragmatico, spinto da ideali di uguaglianza e libertà. Piquart ci viene mostrato con una lente differente rispetto agli uomini che fanno da contorno alla storia, poiché egli stesso risulta diverso. La sua mente, i suoi gesti e le sue decisioni sono squisitamente contemporanee, novecentesche, ed è proprio qui che il regista concentra l’attenzione, insistendo sul fascino che il personaggio suscita sullo spettatore. Riusciamo pertanto a comprenderlo, a esserne coinvolti emotivamente e a capire quali siano le sue intenzioni.

Il comandante è però anche un uomo del suo tempo, come tutti del resto, e ciò si rivela in due aspetti principali. Il primo riguarda la sua natura di uomo militare, ossequioso e valoroso soldato dell’esercito francese, capace di accettare gli ordini imposti dall’alto perché crede nella giustizia di quegli ideali, di quei valori che nel corso della narrazione faranno da contraltare alle scoperte della sua indagine segreta. Piquart pian piano si distaccherà da quel mondo generando una dicotomia profonda che lascerà strascichi anche nel suo animo di uomo ineccepibile ed efficiente.

Il secondo aspetto riguarda invece la sua cultura. Il comandante, come tutti in realtà è sottoposto a una cultura ancora fortemente reazionaria, gerarchica e colonialista. Come per tutti anch’egli ha dei pregiudizi nei confronti dell’imputato Dreyfus (vi è un dialogo fra i due nella prima parte del film, prima del processo che è illuminante in tal senso), un ebreo dichiarato a tutti, rappresentante un tipo di persone inaffidabili, traditori per natura. Eppure, Piquart anche se immerso nella sua cultura da “Ancien Regime” riesce comunque ad essere un uomo di principi, giusto ed uguale con tutti, analitico e pragmatico, unico e solo capace di mostrare la luce nell’oscurità d’un sistema omertoso.

Piquart non è affascinante come personaggio perché infallibile e capace di fare tutto, bensì per la sua vulnerabilità e per il fatto che si metta costantemente in discussione, col solo ed unico obiettivo di giungere alla verità. In qualche modo egli è una figura mitica, perfino tragica, e nella lotta contro l’ingiustizia egli è il primo a sporcarsi le mani se c’è da sporcarsele. Pur avendo paura per

l’incrinarsi della sua carriera e nell’avere tutto l’apparato politico e militare contro, il comandante rimane integro e fedele ai suoi principi, generali e universali, buoni poiché adatti a tutti.

Anche la storia d’amore segreta del comandante con Pauline Monnier (Emmanuelle Seigner) è evocativa. La donna infatti è già sposata ma intrattiene una relazione amorosa col protagonista. I due si vedono nell’appartamento del comandante ed organizzano i loro incontri in modo tale che nessuno sappia della loro relazione. La donna è cruciale nell’andamento della narrazione, non tanto per il corso dell’indagine quanto per la somiglianza caratteriale con l’amante. Pauline è una donna decisa, forte, intraprendente e saggia e proprio come Piquart è giusta in quanto ha principi ai quali fa capo. Pur essendo un personaggio secondario rimane nella memoria dello spettatore laddove riesce a caratterizzare e sintetizzare un’epoca come quella nelle sue varie sfaccettature. Anche se utilizzata come una sorta di coscienza del protagonista, la sua identità è chiaramente distaccata dal comandante e riesce quindi ad essere rilevante anche in sé, senza l’ausilio dell’amante.

L’interpretazione di Jean Dujardin è qui magistrale, scultorea e plastica. L’attore è perfetto in ogni senso. Il suo lavoro sulle microespressioni e sulla presenza scenica ci restituisce un personaggio completo e umano, quindi comprensibile e veritiero nel momento in cui legittimato dallo spettatore.

Trattiamo ora il terzo ed ultimo livello della pellicola: quello estetico-narrativo. Il film è costruito magistralmente, sia per la scrittura che per la messa in scena. La scenografia spicca più di tutto, accentuata perfettamente dalle ambientazioni austere degli edifici e delle divise militari. Ogni personaggio ha delle intenzioni chiare e distinte. Mentre le inquadrature sono sempre scelte appositamente in funzione delle esigenze dei personaggi e del contesto. Il montaggio è ineccepibile e scandisce ogni flashback o flashforward con una dissolvenza su un dettaglio particolare (solitamente quell’elemento chiave che nella scena è strumento del susseguirsi della narrazione).

“L’ufficiale e la spia” è un film magistrale, una lezione di cinema che solo pochi registi possono mettere in pratica e Roman Polanski è sicuramente uno di quelli.

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